Il commercio Equo

L'obiettivo del Commercio Equo è sostenere i produttori svantaggiati nel passaggio da una condizione di vulnerabilità a una situazione di sicurezza economica, renderli protagonisti nelle loro organizzazioni e diffondere un approccio alternativo al commercio convenzionale.
Il commercio equo e solidale è una partnership commerciale fondata sul dialogo, la trasparenza e il rispetto, che promuove una maggiore equità nel mercato internazionale.
Contribuisce a uno sviluppo sostenibile offrendo migliori condizioni commerciali e assicurando i diritti dei produttori e dei lavoratori marginalizzati del Sud del mondo.


I principi del Commercio Equo e solidale:
- pagare un prezzo equo ai produttori locali per consentire loro di raggiungere un livello di vita dignitoso;
- fornire ai produttori un pre-finanziamento per sostenere i costi di produzione, senza essere costretti a indebitarsi;
- garantire l'accesso dei produttori al mercato e continuità nelle relazioni commerciali tra produttori e importatori per un autosviluppo sostenibile;
- favorire l'importazione diretta per remunerare al meglio i produttori evitando forme di intermediazione speculativa;
- fornire assitenza tecnica e formazione ai produttori;
- assicurare trasparenza e responsabilità in tutte le fasi del processo;
- investire parte dei guadagni in progetti di sviluppo sociale (nelle comunità dei produttori);
- favorire la valorizzazione delle diverse culture locali;
- la produzione avviene nel rispetto dell'ambiente sostenendo la conservazione della biodiversità, promuovendo l'agricoltura biologica e processi a basso impatto ambientale dalla coltivazione alla distribuzione;
- assicurare il rispetto dei diritti dei lavoratori e dell'infanzia;
- garantire pari opportunità lavorative senza distinzione di sesso, etnia, religione o pensiero politico.
---------------------
Il commercio Equo e solidale è una forma virtuosa di commercio che mette al primo posto le persone. E' la prova concreta che è possibile maggiore giustizia nel commercio internazionale, mettendo in luce il bisogno di cambiamento nelle regole e nelle pratiche del commercio convenzionale.

--------------------

Estratti dal Report AGICES 2013


ORGOGLIOSI DELLA NOSTRA STORIA
Alessandro Franceschini Presidente AGICES
Il percorso che ha portato alla nascita di AGICES, 10 anni fa, è stato unico al mondo ed esemplare. Per la prima
volta infatti, soggetti che avevano interessi e visioni diverse tra di loro si sono seduti intorno a un tavolo per
stabilire regole comuni. Si trattava di conciliare diversi modi di concepire il rapporto coi produttori, con le botteghe,
tra gli importatori.
Non era così scontato stabilire regole comuni: negli anni che hanno preceduto il 2003, lo sforzo è stato ragionare
su questi elementi, su cui porre le basi di un lavoro congiunto. Poi è arrivato il passo successivo, ovvero -dopo la
scrittura della Carta dei criteri- c’è stato il bisogno di riuscire a controllare che le regole venissero rispettate
da tutti. Ecco, da qui è nato il sistema di garanzia. Sottolineo in tutto questo l’aspetto del processo democratico:
non siamo tutti uguali perché diciamo le stesse cose, ma perché siamo arrivati a stabilire le regole insieme.
La cosa importante è che queste  regole adesso costituiscono un lessico comune, una sintassi condivisa per
intraprendere iniziative unitarie.
Il fatto di condividere idee e valori poi ha fatto sì che ci fosse uno scambio di esperienze, conoscenze pratiche su
come affrontare il mercato.
Dieci anni fa l’intuizione è stata che la frammentarietà del commercio equo e solidale italiano era un limite oggettivo.
E che al contrario, l’unitarietà poteva essere una forma di tutela e di difesa. Tanto che questo sguardo
è stato recepito a livello istituzionale, e il sistema di garanzia ha costituito la base per le 10 leggi regionali oggi
in vigore, e per la bozza di legge nazionale sul fair trade.
Questi dieci anni sono dunque serviti da un lato a uniformare le prassi e il dibattito politico sul commercio equo, e dall’altro
hanno costituito un riconoscimento esterno. Oggi siamo percepiti come un movimento unitario, anche se su
questo punto rimane molto da fare, soprattutto per fare del fair trade italiano una voce forte all’interno dei
movimenti per l’economia solidale.
Uniti si lavora meglio. Non a caso, il modello italiano è un esempio sul piano globale. Siamo osservati dall’organizzazione
mondiale del commercio equo e solidale (WFTO) per testare il sistema di garanzia a livello locale: il
meccanismo internazionale si ispirerà all’esempio italiano.
Dobbiamo essere orgogliosi del percorso fin qui fatto, perché siamo riusciti a superare le differenze che
sembravano incolmabili. Ciascuno ha rinunciato a un po’ della proprio individualità, e oggi abbiamo un sistema
di garanzia certificato.
L’ultima fase della vita di AGICES è stata caratterizzata da un ritorno all’elemento politico, di discussione
sull’identità. Ma c’è anche un elemento di novità: è la fase della prospettiva, del “che cosa vogliamo essere, che
cosa vogliamo diventare”.
Il futuro di AGICES è il dibattito intenso che viviamo in questi tempi.
Ci interroghiamo sulle prospettive di sostenibilità dal punto di vista economico, e quindi su una visione unitaria.
Molte organizzazioni vivono grandi difficoltà. La sostenibilità è fondamentale per investire in strategie future. Se
alla fine della crisi non avremo individuato percorsi futuri ci ritroveremo punto e a capo.
Di certo, dovremo smettere di lavorare per campanili, per ragionare come movimento. Oggi inoltre siamo chiamati
a raccontare quello che siamo non più con il linguaggio di 20 anni fa, ma con modalità più attuali, valorizzando
aspetti più contemporanei.
Sono tutte caratteristiche che possono dare un futuro al movimento. Perché se rimane relegato a un concetto vecchio,
i consumatori non capiscono più il valore aggiunto di comprare prodotti che arrivano dal Sud del mondo a
un prezzo equo.
Ecco, dobbiamo fare in modo che il consumatore capisca che venendo nelle nostre botteghe egli sta contribuendo
a cambiare il sistema economico.
Infine, io credo dovremmo ripartire dal concetto di economia delle comunità, comunità che a livello paritario
dialoghino tra loro per costruire un’economia nuova. Anche a costo di superare il concetto di solidarietà se
questa è intesa come la dinamica univoca di un soggetto che dona e l’altro che passivamente riceve. 


UNO SGUARDO FUORI E DENTRO I NUMERI
Eleonora Dal Zotto Coordinatrice di AGICES


I dati relativi al 2011, cui si rifanno le
tabelle e i grafici di questo rapporto,
indicano innanzitutto che il numero
di organizzazioni appartenenti ad
AGICES è stabile. Da una parte infatti
c’è stato l’ingresso di nuove realtà,
mentre dall’altra abbiamo assistito a
un fenomeno piuttosto diffuso, ovvero
l’accorpamento, per cui associazioni si
fondono tra di loro. Infine, purtroppo
ci sono state delle chiusure di attività,
le cui cause sono forse dovute alla
difficile gestione economica dei punti
vendita ma forse anche al mancato
ricambio generazionale.
Nel 2011 AGICES contava 90 organizzazioni,
oggi siamo a 87. Difficile
dire quanto siano rappresentative del
“movimento del commercio equo e
solidale in Italia”: 90 su 200? su 100?
Dipende dai dati che si considera:
secondo noi AGICES rappresenta
almeno l’80% del totale, se nel totale
includiamo quel che consideriamo
un’organizzazione “tipica”, ovvero
no profit in forma di associazione o
cooperativa, con il commercio equo
e solidale come attività prevalente nei
prodotti e nei progetti, formazione
servizi, editoria. Ma questa percentuale
cresce se si considera la rilevanza
economica e associativa. Rispetto alle
botteghe del mondo, segnalo innanzitutto
un dato curioso: mentre assistiamo
alla chiusura di punti vendita,
soprattutto piccoli, legati al quartiere
o non specializzati in senso stretto dal
punto di vista merceologico, abbiamo
un dato in controtendenza sul totale,
ovvero di crescita del numero delle
botteghe.
Il fenomeno è molto più variegato, e
incorpora tentativi di differenziare le
offerte commerciali. Nel 2012 probabilmente
c’è stata un’inversione di
segno, anche perché abbiamo perso un
paio di soci all’inizio 2012 per chiusura
attività. Se guardiamo poi alla
diffusione geografica, sono quasi tutti
al Nord, dove 5 regioni fanno almeno
il 70% del fatturato totale (anche
togliendo quello degli importatori).
Vi è una differenziazione molto
forte: ad esempio in Veneto c’è molto
volontariato, mentre al Sud l’organizzazione
è molto più connotata
come cooperativa di lavoro. Dieci
anni fa parteciparono al processo di
fondazione di AGICES un centinaio
di organizzazioni. Ci aspettavamo di
coinvolgerle tutte, e poi di allargarci
ad altri soggetti. Oggi grosso modo
la base è rimasta quella. Dieci anni fa
pensavamo che l’obiettivo fosse 500
organizzazioni socie. Non sono più
convinta che questo sia l’obiettivo
adesso. Oggi ci concentriamo, più
che sulla creazione di nuove realtà, a
una diversa organizzazione di quelle
esistenti. Gli anni 90 e i primi 2000
hanno registrato una crescita di
fatturato, poi la curva si è appiattita e
adesso vediamo anche segni negativi.
Nel 2011 si assiste a una ripresa, sia
dal punto di vista delle vendite che degli
acquisti. Ma non è quello che è successo
nel 2012, per quel che sappiamo
sinora: nel 2012 sembra essere tornati
ai livelli del 2008/2009. Certamente,
si fa fatica a comporre un quadro
generale, anche perché è cambiata
molto la tipologia dei prodotti che si
vendono: sono sempre più elaborati,
e solo chi è riuscito a investire molto
riesce a lavorare sui prodotti artigianali,
mentre gli altri fanno fatica. Quello
che non è cambiato è il canale di
vendita: temevamo che le vendite nella
grande distribuzione avrebbero finito
per diventare il canale predominante,
e che le organizzazioni con le botteghe
sarebbero state marginalizzate.
In realtà queste ultime sono ancora il
canale di gran lunga privilegiato e la
Gdo non ha avuto l’espansione che ci
aspettavamo. Detto questo, dobbiamo
prendere atto che l’Italia ha consumo
pro capite di prodotti del Commercio
equo e solidale di gran lunga inferiore
al Nord e Centro Europa. Alcuni dati
parlano di 11 euro per il Regno Unito
fino a 21 euro per la Svizzera, mentre
in Italia siamo attorno ad 1,5 euro.
Certamente, ci sono differenze sostanziali:
in Inghilterra ad esempio alcuni
prodotti mainstream sono certificati
da FLO. Però lì molte botteghe hanno
chiuso. Dall’altra parte invece dalle ricerche
fatte sembra che quanto meno
la conoscenza del Comes in Italia sia
molto forte. Soprattutto se si guarda
al cambiamento culturale, e non solo
alla vendita, non credo che siamo così
“indietro”. Nel senso che in Italia,
quando si parla di Commercio Equo

e Solidale, questo viene identificato
con i valori proposti dalle Organizzazioni,
non solo con un bollino su un
prodotto. Noi come AGICES stiamo
lavorando su questo aspetto con il
progetto di legge nazionale. Così come
continuiamo a lavorare sul tema del
controllo della filiera: è il contributo
maggiore che ha ottenuto AGICES,
che è stata fondata per gestire un registro
su basi trasparenti e fondato sul
un monitoraggio effettivo. Ci abbiamo
lavorato molto nei primi anni, con
poche risorse ma con risultati buoni.
Siamo stati facilitati dal fatto che
avevamo una base associativa molto
compatta, che si identificava coi criteri.
Non abbiamo calato un sistema di
controllo e monitoraggio dall’alto.
Il sistema è pertanto cresciuto un po’
alla volta, ma con passo di marcia.
Nel 2006 iniziamo le verifiche sul
campo, con diverse fasi e metodologie
di controllo. Nel 2009 il sistema si è
“chiuso”, -cioè completato tutte le fasi
e procedure- ed è andato a regime.
Oggi abbiamo anche un osservatorio
on line per fare segnalazioni (tra
l’altro, uno degli elementi che ci sta
“copiando” WFTO). A guardare i
numeri, oggi contiamo 137 audit dal
2007. Vuol dire che tutte le organizzazioni
hanno avuto almeno una
verifica. Un risultato ampio, che è
stato sostenibile ma che ha una pecca,
ovvero non è stato del tutto efficace
nel comunicare il valore che ha l’iscrizione
al registro AGICES. Oggi si sta
riflettendo sull’apertura a soci esterni,
perché ci sono organizzazioni molto
vicine a noi, e altre tendenze che guardano
alle filiere locali. C’è un rapporto
annuale del sistema di monitoraggio,
inviato a Icea (che certifica il sistema
di monitoraggio di AGICES, dalla
formazione dei valutatori alla verifica
etc.) e al Cise (Ente della Camera
di commercio, innovazione e RSI) e
illustrato ai soci in assemblea. Anche
questa è una delle soluzioni “brillanti”
che ci copia WFTO ora. Aggiungo che
uno degli effetti maggiori che ha avuto
il sistema di monitoraggio di AGICES
è stato aiutare le organizzazioni a
fare il passaggio dallo spontaneismo
all’essere in grado di rendicontare il
proprio lavoro. Ovvero, il sistema non
ha contribuito ad aumentare l’eticità
dell’azione delle organizzazioni, ma
l’ha messe in grado di renderne conto
ai propri soci, ai volontari, alle istituzioni,
ai consumatori. Per concludere,
permane nel commercio equo italiano
la doppia anima: quella commerciale
e quella “di movimento”, più politica.
Gli indicatori ci dicono che è cresciuto
il numero dei soci di organizzazioni
di Commercio equo e solidale. Non
è poco, sono più di 30mila. I dati di
crescita delle iniziative di formazione
e quelli che parlano della crescita
delle ore info educative e della spesa,
dicono poi quanto le organizzazioni
siano in grado di investire i ricavi
finanziando queste attività. Il periodo
dei fondatori che si sono inventati il
lavoro è finito, e ora serve formare
persone nuove e nuove generazioni.
Le organizzazioni con fatica fanno il
salto da un impegno immediato a una
formazione: oggi dobbiamo accompagnare
le persone impegnate nel Comes
a crescere come lavoratori e amministratori.
Sono i nostri 30 anni di
movimento che ce lo richiedono.

Nessun commento:

Posta un commento